Kim Gordon si è trasferita a Los Angeles ormai da diversi anni, trovando una nuova casa in una città  dove tutto è veloce ma in cui è semplice sentirsi soli, guidando lungo strade infinite che non sempre portano a destinazione. “No Home Record” nasce dalla perseveranza di Justin Raisen (produttore di Charli XCX, Ariel Pink, Sky Ferreira, Santigold) che insieme a Shawn Everett (Jim James, The Voids, The War On Drugs) e Jake Meginsky (L’Appel Du Vide) ha aiutato Kim Gordon a dar forma e concretezza alle prime, astratte impressioni musicali.

Quella ritratta in “No Home Record” non è la Los Angeles del surf e delle spiagge assolate, le coordinate sono piuttosto il noir con luce soffusa di David Lynch periodo “Strade Perdute” unito al montaggio straniante spesso impiegato dalla regista Chantal Akerman (il suo ultimo docu – film “No Home Movie” ha ispirato il titolo del disco). Come Lynch e la Akerman, Kim Gordon mette insieme elementi familiari rendendoli alieni.

Succede fin dalle prime note di “Sketch Artist”: arrangiamento cupo, claustrofobico, un violoncello morboso posato su una base elettronica che ricorda i Nine Inch Nails. Le chitarre punk di “Air Bnb” stridono e graffiano accompagnando un testo sarcastico sulle piccole utopie a cui crediamo troppo spesso (“American idea / Copyright, copyrights / Air BnB! / Air BnB!/ Air BnB! / Gonna set me free“) il minimalismo di “Paprika Pony” racconta l’amore moderno, due novelli Adamo ed Eva incatenati ai cellulari.

La voce di Kim Gordon è spesso distorta. Un’interferenza che penetra il rumore di basso e chitarre in “Murdered Out” (Stella Mozgawa delle Warpaint suona la batteria) e s’insinua nel ritmo frenetico, elettrico e tribale di “Don’t Play It”. Imponente e severa nella lista di imperativi e richieste di “Cookie Butter”, rabbiosa in una “Hungry Baby” che si scaglia contro predatori sessuali ancora troppo presenti in questo quasi 2020.

“Earthquake” riflette sul rapporto tra artista e pubblico, sul pericoloso scambio di emozioni che si crea tra palco e platea a suon di chitarre prima calme poi sempre più incisive e rombanti. Qui la voce di Kim Gordon diventa eterea, per poi tuffarsi in “Get Yr Life Back” con un altro arrangiamento cupo e claustrofobico acuito dal finale drastico, improvviso del brano.

Prima di scrivere bisogna saper osservare il mondo che vediamo ogni giorno da angolazioni diverse, originali. E’ quello che Kim Gordon ha sempre fatto e fa anche oggi con un disco solista musicalmente avventuroso, sperimentale, ipnotico e viscerale.

Credit Foto: Natalia Mantini